Siamo nella parte più estrema della Lombardia ai confini con la Svizzera, in provincia di Sondrio, dove incontriamo i pendii scoscesi della Valtellina
Questa è una tipica vallata alpina, attraversata da un grande fiume, l’Adda, e da due versanti dal profilo ripido e accidentato, ammorbidito dal lavoro faticoso e prezioso dell’uomo e con il versante di sinistra salendo verso Sondrio, percorso da molteplici filari di vite suddivisi in terrazzamenti; anche qui, come in altre regioni italiane, viste le condizioni estreme, siamo di fronte ad una viticoltura “eroica”.
Questo è il versante retico, quello più esposto a sud e quindi quello più assolato, più caldo e luminoso; circa 820 ettari di vigne, mediamente tra i 300 ed i 600 mt di quota con punte verso gli 800, e qualcosa come 2500 Km di terrazzamenti, il che vuol dire, l’area agricola nazionale più terrazzata e storica, tanto da esser riconosciuta come “Paesaggio Rurale Storico” e candidata dall’UNESCO come patrimonio culturale.
Fin dall’inizio dell’epoca medievale, l’uomo intensificò i suoi sforzi verso lo sfruttamento di queste terre, con le opere di dissodamento e la realizzazione dei primi terrazzamenti, sostenuti da muretti di pietra a secco, adibiti alla viticoltura ed alla coltivazione in genere; un lavoro stremante, che ha attraversato secoli e generazioni, fatto per lo più a mano o con l’aiuto degli animali da soma, per la mancanza o l’impossibilità d’impiegare macchine agricole.
Nonostante l’altitudine, le condizioni climatiche di questa vallata sono favorevoli. Orientandosi da est a ovest, e ciò la rende unica, presenta una migliore esposizione a differenza delle altre valli alpine fluviali che si sviluppano generalmente da nord a sud. Inoltre, le catene montuose circostanti, Alpi Retiche, Orobiche ed il maestoso Adamello, la proteggono dalle correnti fredde.
Le precipitazioni sono modeste e la presenza di una lieve brezza tiepida, primaverile e proveniente dal lago di Como, “la breva”, fa sì che si stabiliscano le condizioni adatte per una viticoltura intensiva ma d’eccellenza.
La percentuale di superfice vitata ad uve a bacca bianca è insignificante, pertanto è tutto vino rosso, prodotto quasi esclusivamente da un unico vitigno, la Chiavennasca, definito un clone del grande Nebbiolo. Questo vitigno, allevato in valle da più di 500 anni, si è adattato perfettamente alle condizioni ambientali e avendo subito negli anni una particolare selezione clonale, si è reso tipico e fortemente legato al territorio.
Naturalmente viste le differenze di clima e suolo tra Langhe e Valtellina, pur essendo vitigni simili, ci troviamo di fronte a due vini dal profilo sensoriale e strutturale alquanto diversi.
Le origini di questo vitigno sono antichissime. Per alcuni, il nome sembra derivi dalla vicina e originaria val Chiavenna, mentre per altri, ci sarebbe solo il legame con alcuni termini dialettali locali, quali “ciu venasca” che indica un vitigno di grande vigoria e ricco di linfa, piuttosto che “ciu vinasca” cioè vitigno capace di fare buon vino.
Il Consorzio di Tutela dei vini della Valtellina fondato nel 1976 e rinnovato nel ’97, ha da sempre il compito di valorizzare vini e cantine di questo territorio, puntando sulla tradizione e sulla qualità. Infatti, il vino valtellinese è conosciuto in molti paesi stranieri ed è un degno rappresentante di una delle zone vitivinicole verticali d’eccellenza del nostro Paese. Ad oggi è l’unico ente consortile a presentare due DOCG, in un territorio e con un solo vitigno: Valtellina Superiore e “Sfursat”.
All’interno di questa valle, la variabilità dei fattori ambientali, hanno portato nel tempo, al riconoscimento di 5 sottozone del Valtellina Sup., ben distinte, con vini dai caratteri differenti. Queste sono: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella.
Degno di nota, è senz’altro lo “Sfursat”, una Chiavennasca in purezza o comunque al 90%, che rappresenta il primo passito rosso secco nazionale ad avere la DOCG (2003), simile come metodo di produzione all’Amarone della Valpolicella.
Il nome deriva dal termine “forzatura” che consiste nell’appassimento delle uve per almeno 3 mesi, precedentemente selezionate e poste su dei graticci posizionati in locali ben areati (fruttai); così facendo, l’uva perde il 40% del proprio peso ed è pronta per la pigiatura. Seguono una ventina di mesi tra invecchiamento, affinamento in legno (almeno 12 mesi) e bottiglia, in modo da avere un prodotto finale dalle tipiche fragranze aromatiche e dalla notevole gradazione alcolica, dai 14°C e oltre.
Una delle cantine che ha fatto del vino prodotto in Valtellina uno dei più rinomati e apprezzati, è senz’altro Rainoldi.
L’attività è centenaria e contempla differenti attività: dal commercio di vini, primordiale, alla successiva, con l’acquisto dell’uva, fino a quella conclusiva e attuale, cioè viticoltura e vinificazione.
C’è un forte legame con il territorio, determinato dalla valorizzazione di quest’area montuosa ma anche dalla salvaguardia della natura e dell’ambiente circostante.
I vini di questa cantina sono quelli classici valtellinesi, dal grande carattere e dalla spiccata personalità e tra questi segnaliamo l’Inferno 2018.
I vigneti dai quali si ottiene questo vino sono ubicati nella zona più limitata, impervia ed angusta, dal nome per l’appunto singolare, con una quota che varia dai 300 ai 550 mt s.l.m e dove le vigne, ai primi di ottobre, vengono vendemmiate in modo manuale e selettivo; seguono macerazione e fermentazione lente, in vasche d’acciaio con costanti rimescolamenti e riemersioni del mosto. 20 mesi in botti di rovere di Slavonia e affinamento finale in bottiglia per altri 9 mesi.
Il colore è rosso rubino intenso, con riflessi granato. Un profumo di frutta rossa matura, accompagnato da liquerizia, cuoio, cioccolato, spezie e persistentemente balsamico. Di grande equilibrio e struttura. Asciutto e secco ma morbido con un buon tannino e con un finale decisamente lungo. Gradazione 13,5°C.
E’ di pronta beva ma in cantina può rimanere oltre i 5 anni con un ulteriore evoluzione. Temperatura di servizio 16°-18°C, dopo averlo aperto almeno 30 minuti primi.
E si va dai salumi (Bresaola e “Slinzega”) e formaggi (Casera e Bitto) tutti di buona stagionatura, a dei primi particolari, paste con salmì di cacciagione, oppure pizzoccheri e polenta taragna, per finire con la carne rossa, in umido, arrosto o alla griglia.
E come sempre,
…mezzo vuoto o mezzo pieno??
Purché sia buono, bianco, rosso e verde!!