Nel Mondo, il Piemonte è riconosciuto come una delle zone vinicole più importanti, e questo perché rappresenta il risultato di una combinazione ideale di alcuni fattori.
Non solo l’estesa superficie coltivata, le ottimali condizioni climatiche e le caratteristiche del suolo, i vitigni autoctoni e l’eccellente qualità dei vini, ma anche la storia, la cultura e le tradizioni locali, hanno fatto sì che questa regione assumesse un ruolo primario nel panorama enologico internazionale.
Al di là delle origini che risalgono all’età del Bronzo, la storia del vino in tale regione è lunga e complessa, fatta di epoche diverse, di avvenimenti significativi e di personaggi illustri.
Il primo vero riscontro storico relativo alla vitivinicoltura è rappresentato da due stele funerarie di origine romana del primo secolo d.C., raffiguranti un venditore di vino, a dimostrazione che in Piemonte il vino lo si è sempre fatto, e sempre bevuto.
In epoca medievale furono identificate le zone più vocate alla viticoltura, nel 700 d.C. vennero piantate dai monaci le prime viti di Grignolino, allora chiamato “Barbesino” e del Nebbiolo si parla già tra la fine del 1200 e primi anni del 1300.
Raggiungiamo il 1600, durante il quale si verificò un’evoluzione della viticoltura ma soprattutto emerse la presenza di un vitigno, il Nebbiolo.
Questo a ragione, viene definito “il Principe delle Langhe”, con i primi riferimenti storici significativi risalenti al 1200, relativi a contratti terrieri di locazione e nei quali si fa cenno alla coltivazione di una particolare verietà di vite, la “vitibus neblorii”, forse il Nebbiolo.
Il nome deriva dalla cospicua presenza di pruina sugli acini alla maturazione, quasi fossero ricoperti dalla nebbia, piuttosto che per la vendemmia che avviene quando si alzano appunto le prime nebbie.
Questo vitigno oltre a produrre delle grandi etichette, è la base di grandissimi vini, definiti monovarietali, come Barbaresco e Barolo.
Il Barolo è un vino che tutto il mondo ci invidia. Antico e ricco di storia e che negli anni ha subito un’evoluzione enologica notevole, tanto da raggiungere riconoscimenti internazionali, grazie soprattutto alla sua unicità determinata dall’eccezionale qualità.
“Amabile come il Madeira, secco al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne”. Così lo definì nel 1751, T. Jefferson, futuro presidente degli Stati Uniti, dopo averlo bevuto durante un banchetto a Londra.
Allora si chiamava “Barol” e probabilmente dagli scritti dell’epoca, era rosato, un po’ dolce e frizzante; con grande rispetto per il presidente americano, fortunatamente da allora le cose sono cambiate.
Al Barolo sono legate alcune persone che ebbero un ruolo fondamentale nello suo sviluppo.
Il primo fu F. Staglieno, pioniere dell’enologia Piemontese che creò, grazie ad una vinificazione allora innovativa, la prima versione di vino secco, fermo e di colore intenso.
Pochi anni dopo, Juliette Colbert Marchesa Tancredi Falletti, nota come la “Marchesa del Barolo” e Camillo Benso conte di Cavour, che essendo proprietari terrieri ma soprattutto grandi esperti e amanti del buon vino, con i propri cantinieri ed enologi continuarono nell’opera di affinamento e di diffusione di questo grande rosso.
Giustamente definito “Il vino dei re, il re dei vini”, perché i sovrani di casa Savoia, Carlo Alberto prima e Vittorio Emanuele II dopo, ne rimasero entrambi talmente entusiasti che acquistarono delle tenute per produrvi il proprio Barolo.
Seguirono i conflitti bellici, la dannosa fillossera e l’abbandono delle campagne, tutti elementi limitanti, ma dalla metà del XX secolo ci fu la grande esplosione, definita nel 1966 dalla DOC e nel 1980 dalla DOCG con disciplinari assolutamente rigidi.
Solo uve Nebbiolo, delle sottovarietà Michet e Lampia; zona di produzione, 11 comuni delle Langhe, a sud di Alba, con l’identificazione di alcune piccole aree, “cru” di pregevole vocazione.
I parametri imprescindibili sono l’invecchiamento di almeno 36 mesi, di cui 18 in botti di rovere, a partire dal 1° Novembre dell’anno della vendemmia e l’appellativo di Riserva, solo dopo 5 anni d’affinamento.
Nelle Langhe (Patrimonio mondiale UNESCO), lungo quelle lingue di terra ondulate dal dolce profilo (“Langues”) a La Morra, uno di quei famosi 11 comuni, c’è una cantina, Rocche di Costamagna, che dal 1841 produce vini.
E’ uno dei più storici produttori piemontesi, strettamente legato alla storia ed alla tradizione del Barolo e del suo territorio, tanto da ricevere nel lontano 1911, “la Medaglia d’oro al Gran Premio dell’Esposizione Internazionale di Torino” per i 50 anni di attività enologica.
14 ettari di vigneti in zona eletta, lotta biologica guidata e integrata, ripristino degli edifici compresa la cantina che mantiene ancora la suggestiva struttura dell’inizio ‘800, una realtà con una posizione di prestigio.
Bricco Francesco, è la Riserva di Barolo e viene prodotta esclusivamente nelle migliori annate. Bricco, perché è la parte più alta e meglio esposta del vigneto e Francesco dal nome del fondatore.
Da metà Ottobre la raccolta selettiva delle uve, seguita da una macerazione a temperatura costante e controllata per 3 settimane. Affinamento per 36 mesi in botti di rovere e bottiglia per 2 anni.
Colore rosso rubino brillante, limpido e con riflessi granato. Profumo intenso, floreale e fruttato, la rosa e la violetta, con prugna, lamponi e la ciliegia sotto spirito. Balsamico e speziato. Naso e bocca in verticale. Pieno, elegante, con tannino morbido e dal finale assolutamente persistente. Gradazione 14,5%.
Si può bere subito, ma ha una lunga capacità d’invecchiamento.
Temperatura di servizio 18° C, in abbinamento con tutti i piatti a base di carne rossa arrosto e selvaggina, presente sia nei primi che nei secondi. Naturalmente risotto, agnolotti di carne e brasato al Barolo, nonché i famosi “Tajerin” al tartufo.
E come sempre
…mezzo pieno o mezzo vuoto??
Purchè sia buono, bianco, rosso e verde!!