IN CANTINA

PIEMONTEROSSI

Grignolino Monferace DOC, Tenuta Santa Caterina, Grazzano Badoglio Monferrato (At)

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Durante questo percorso, attraverso le Regioni, le vigne e le cantine, abbiamo visto quanto la viticoltura sia fortemente legata alla tradizione rurale e popolare.

Questa, ricca di folclore e tradizioni, di prodotti e sapori tipici, di personaggi reali ed immaginari, spesso sono la base di un percorso enologico complesso, che ha portato ad un significativo progresso, senza mai dimenticare il passato.

Ad Asti, dalla fine degli anni ’60, si organizza la “Douja d’Or”, un concorso enologico abbinato alla cucina d’autore piemontese, che ha lo scopo di far conoscere e valorizzare i vini DOC e DOCG piemontesi ed italiani.

La “douja”, pronunciato “dùia”, è un antico e panciuto boccale piemontese che è legato al folcloristico personaggio di Gianduja.

Verso la fine del 1700, la tradizione racconta dell’esistenza di un allegro e sagace contadino astigiano, soprannominato “Gioann dela douja” perché nelle osterie, con fare simpatico ed ironico, chiedeva all’oste o  agli avventori presenti, una douja di vino.

Il suo nome divenne semplicemente Gianduja, la popolare maschera piemontese, che viene raffigurata con il tradizionale costume, la sua espressione allegra tanto più beffarda e spesso con in mano un boccale o un bicchiere di vino rosso.

In quel periodo, nell’astigiano e nel Monferrato era diffusamente coltivato un antico vitigno autoctono a bacca rossa, il Grignolino, dalle origini molto antiche, il 1200 e con quel nome di incerta provenienza.

In fatti, l’origine non è nota e  forse il nominativo sembra derivi dalla presenza di numerosi vinaccioli negli acini, che in dialetto piemontese vengono chiamati “grignole”.

Un’altra ipotesi, e questa di gran lunga la più popolare, è legata al termine “grignè”, cioè sorridere, dato che a coloro che lo bevevano veniva da digrignare i denti perché alquanto tannico, mostrando così sul viso, un’espressione simile ad un sorriso.

Un tempo, il Grignolino ebbe un notevole riscontro produttivo e commerciale, tanto da esser considerato fra i principali vini piemontesi e capace di assumere delle quotazioni simili al Barolo ed al Barbaresco.

Però verso la fine del 1800 ed i primi anni del ‘900, ebbe inizio il suo declino, causato dall’avvento della fillossera che distrusse tutto il patrimonio viticolo ma anche perché essendo una varietà molto delicata, poco resistente alle malattie, con una bassa resa, un tannino importante e un’elevata acidità, fu accantonata dai vignaioli che preferirono produrre altre uve.

Ma fortunatamente in questi ultimi anni sembra che il vento sia girato, dato che i produttori hanno ripreso a coltivare, produrre e valorizzare questo storico vitigno, applicando soprattutto nuovi metodi di vinificazione per ottenere un vino dal profilo completo e molto più bevibile rispetto allo storico.

In effetti, recentemente si è costituita l’Associazione Monferace, con  un unico rigido disciplinare ed un progetto comune, sviluppato da produttori astigiani, alessandrini e casalesi, distribuiti in 24 comuni con l’obiettivo di ridare a questo vitigno il giusto ruolo da protagonista.

Il sodalizio ha il proprio simbolo, rappresentato da un mattone sormontato da un ferro di cavallo e riportato sulle etichette delle bottiglie delle cantine aderenti.

Siamo nel Monferrato Aleramico, un’area compresa tra i fiumi Po e Tanaro, anticamente chiamato Monferace , il quale deriva da “Mons ferax”, cioè, colline feroci e fertili

Tra i gli 11 soci fondatori del sodalizio, figura la cantina Tenuta Santa Caterina, a Grazzano Badoglio, sui “Colli Divini” dell’astigiano, un’antica realtà agricola del 1700, ripristinata negli anni 2000 dal proprietario, desideroso di riprendere la tradizione viticola familiare.

Una ristrutturazione assolutamente completa, dove spicca la cantina storica con il locale sotterraneo adibito alla conservazione dei vini detto “infernot”, qui edificato ad una profondità di 17 mt.

E’ una cantina di livello , insignita come cantina “emergente” con vini che spesso hanno raccolto riconoscimenti e tra questi c’è senza ombra di dubbio il Grignolino Monferace DOC.

Questo è un vino in purezza come il disciplinare richiede, che molto differisce dal classico Grignolino, allevato in uno dei vigneti più antichi della tenuta, nel perfetto equilibrio tra i fattori ambientali.

La vendemmia, manuale ed accurata, avviene ai primi di Ottobre, preceduta per lo più, dal diradamento delle uve, scegliendo le migliori e dalla sfogliatura.

La macerazione è soffice e la successiva fermentazione in acciaio avviene a temperatura controllata per poi proseguire in botti di rovere per 30 mesi; imbottigliamento e affinamento per altri 30 mesi.

Si presenta di colore rosso, limpido, con dei riflessi tendenti all’arancio. Leggermente floreale. Piccola frutta rossa, mora e lampone, delicatamente speziato con il pepe bianco. Fresco, morbido, quindi non particolarmente tannico, di buona struttura e persistenza; gradazione alcolica 13%.

Può rimanere in cantina ma per pochi anni, nei quali avrà un’ulteriore piacevole evoluzione.

Dopo averlo aperto per qualche minuto, in tavola a 16°-18° C, con formaggi e salumi di media stagionatura, primi piatti con ragù di carne, risotti con i funghi, oppure tortelli di carne o gnocchetti  tirolesi con fonduta di fontina valdostana, una pasta cacio e pepe. Pollo allo spiedo con patate, coniglio alla cacciatora, costolette a “scottadito” e piccola cacciagione piumata.

E come sempre

…mezzo pieno o mezzo vuoto??

Purchè sia buono, bianco, rosso e verde!!

 

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