Quando si parla di vini piemontesi si pensa immediatamente ai grandi rossi come Barolo e Barbaresco e la base di questi vini risulta sempre l’ottimo Nebbiolo; avendo già scritto qualcosa sul Barolo, passiamo al Barbaresco.
Con tale termine si definisce il vino prodotto da uve 100% Nebbiolo, vinificato esclusivamente in zona DOCG, cioè nei comuni di Barbaresco, Neive, Treiso e nella frazione di San Rocco vicino ad Alba.
Il vino può assumere il nome di Barbaresco solo dopo 26 mesi d’affinamento di cui 9 in botti di legno, mentre per la Riserva sono 50 i mesi, mantenendo sempre i 9 di legno.
Barbaresco sembra che derivi da “barbarica silva”, un termine latino usato dai Romani che indicava una località ricoperta da una fitta e impervia boscaglia, dove il popolo dei Liguri si rifugiò per sfuggire alle legioni romane; era la zona dove oggi sorge Barbaresco .
Successivamente il termine si modificò in “Barbaritium”, per la presenza dei barbari in quell’area e in seguito assunse il nome attuale.
Percorriamo qualche secolo e raggiungiamo la metà dell’800, dove a Neive, nelle cantine di un palazzo di un nobile, venne prodotto per la prima volta un vino rosso col nome di tale borgo, secco e di ottima qualità, tanto che a Londra ad una manifestazione enologica internazionale ne uscì premiato.
Trent’anni dopo, un agronomo modenese a capo della Scuola Enologica Reale di Alba, insieme ad una decina di vignaioli locali, decisero di vinificare le uve Nebbiolo con tecniche di vinificazione specifiche, producendo così il primo vino chiamato ufficialmente Barbaresco; i risultati furono talmente buoni che venne costituita in loco una Cantina Sociale.
Alla fine degli anni ’50, sia grazie alla capacità imprenditoriale di un gruppo di giovani viticoltori decisi a valorizzare il vino di quel territorio, che allo spirito d’iniziativa del parroco del paese che fondò sulle basi della precedente cantina sociale, la Cantina Produttori di Barbaresco, questo grande rosso iniziò il suo importante percorso di crescita che negli anni lo ha portato ad assumere una posizione di vertice nel panorama enologico mondiale.
Nel 1966 venne istituita la DOC e successivamente, nel 1980 la DOCG.
Due grandi rossi, così vicini ma così diversi, perché?
Siamo nelle Langhe, ma i comuni delle zone di produzione non sono gli stessi e la composizione del suolo è assolutamente differente pur essendo per lo più delle marne ricche di sedimenti.
Inoltre in area Barolo abbiamo un clima influenzato dalle correnti fresche alpine e dall’aria umida e calda della valle del fiume Tanaro, mentre in zona Barbaresco troviamo temperature più miti, una piovosità intermedia ed una maggiore ventilazione.
Infine il periodo d’affinamento è diverso e tutto ciò porta a due profili che hanno poco in comune, anzi sono quasi discordanti; differenti sono anche gli abbinamenti gastronomici.
Alcuni definiscono il Barolo un vino maschile perché forte e robusto, mentre il Barbaresco, un vino più femminile per la sua delicatezza. Lasciamo stare il sesso perché queste sono semplici dicerie, prive di un vero significato.
Piuttosto, pochi anni fa, per i due vini sono state istituite le MGA, acronimo di “Menzione Geografica Aggiuntiva”, termine alternativo all’internazionale “cru”, che sta ad indicare una vigneto ben delimitato e identificato con un nome proprio, con le proprie descrizioni, catastale, altimetrica, pedo-geologica e altro ancora.
ll Consorzio delle DOCG Barolo e Barbaresco ha realizzato una mappatura di tali MGA , un progetto all’insegna del valore e della tracciabilità delle bottiglie per una migliore commercializzazione; il nome del vigneto viene riportato sull’etichetta in modo da valorizzare il vino, qualificare la cantina e tutelare il consumatore.
Solo i proprietari di quelle vigne o chi acquista l’uva in quei vigneti possono porre il nome dell’ MGA sull’etichetta della propria bottiglia.
Ad oggi le MGA del Barolo sono 181 e per il Barbaresco 66, suddivise nei vari comuni delle relative zone di produzione.
La cantina “La Spinetta” di proprietà dei f.lli Rivetti è una dei rinomati produttori di questi vini.
Un centinaio di ettari vitati nelle Langhe, a Neive e Grinzane Cavour, terre di Barbera e di Nebbiolo ma anche di Barbaresco e Barolo.
L’esordio verso la fine degli anni ‘70 con un moscato d’Asti, ancora oggi ottimamente prodotto ma con il trascorrere degli anni è emerso il desiderio di vinificare i grandi rossi di queste terre.
Da allora una continua ascesa nel panorama enologico nazionale ed estero, con uno stile un po’ innovativo, basato su vini di più facile beva pur mantenendo le caratteristiche tradizionali.
Dal “cru” Gallina un grande Barbaresco, prodotto da uve di piante con più di 50 anni, esposte a sud a 250 mt. s.l.m.
Con la vendemmia manuale, vengono scelti i migliori grappoli che passano alle fasi di macerazione e di fermentazione alcolica che avvengono in vasche d’acciaio a temperatura controllata, mediamente per due settimane.
La successiva fermentazione malolattica si sviluppa in botti di rovere francese, delle quali la maggior parte sono di secondo passaggio e solo un 20 % nuove; l’affinamento ha la durata di 20-22 mesi. Imbottigliamento finale senza filtrazione ed ulteriore affinamento per 6 mesi.
Di colore rosso rubino con riflessi granato. Una Grande struttura, potente ma morbido, avvolgente e raffinato. Frutta di bosco rossa, un leggero sentore di agrumi, delicatamente speziato con un richiamo a legno e tabacco. Molto persistente con un finale fruttato e appena floreale. Gradazione 14,5%.
La bottiglia è facilmente individuabile perché l’etichetta è una xilografia storica dove è rappresentato un grosso rinoceronte.
Da stappare un’ora prima e poi in tavola ad una temperatura di 18°C con della carne rossa alla griglia, arrosto oppure in umido. Roast-beef con patate al forno, pollo alla cacciatora, oppure tacchino ripieno con verdure stufate. Ed infine con formaggi stagionati ed un cremoso gorgonzola.
E come sempre
… mezzo vuoto o mezzo pieno ??
Purché sia buono,bianco,rosso e verde!!